Giusto un anno fa parlavamo di brodo, di quel brodo buono e ricco di carni diverse che lo rendono uno dei miei piatti preferiti dell’ inverno.
Passati di verdure, zuppe e brodo sono in cima alla mia lista dei desideri al primo appannamento di vetri! : )
Al solito però, come diceva mio fratello da piccolo “io devo masticare”, quindi va bene il brodo, ma poi passiamo alla ciccia, alle cose serie!!
Di solito la carne del brodo la mangio con la mia amata salsa verde, ma ho pensato che per un pranzo di Natale un po’ fuori dal comune si potesse servire tra gli antipasti la stessa carne da brodo ma sottoforma di polpettine.
Fritte, naturalmente!!! : )
Ed io me le immagino già, tuffarsi nella maionese all’ aglio, oppure nella stessa salsa verde, nella senape al miele oppure in qualunque altra salsa vi venga in mente!!
Quale miglior modo per fare un figurone con pochi ingredienti, ricette semplici e golosissime allo stesso tempo?
Questo post partecipa all’iniziativa promossa da
Aboutgarden, L’ ortodimichelle e Giato Salò
Natale al VERDE!
In linea con il periodo che stiamo vivendo, la creatività è di scena con le inedite e originali proposte di tanti blogger per un progetto davvero al passo con i tempi!
partecipano con me:
*Aboutgarden *Art and craft
*Cakegardenproject *Centopercentomamma
*Comida De Mama* Con le ballerine verdi
*Dana garden design *Giardinaggioirregolare
*Giato Salò *Home Shabby Home
*Hortusinconclusus *Il Castello di Zucchero
*La malle de maman *Non solo stoffa
*Orti in progress *Ortodeicolori
*Passeggiandoingiardino*
*Piciecastagne*Piccolecose
*4piedi&8.5pollici* Quattro toni di verde*
SalviaeRosmarino*Shabbychicinteriors
*Shabbysoul *Ultimissime dal forno
*Un giardino in diretta *25mqdiverde
*Verdeinsiemeweb
Trovi tutte le immagini dell’iniziativa nella board di Pinterest dedicata a #natalealverde
Scola la carne con cui hai preparato il brodo e separala dall' osso (eventualmente ci fossero pezzi tipo cosci di pollo, tacchini, carcasse di piccioni ecc ecc..).
Trita la carne al mixer con gli spicchi d' aglio sbucciati, il prezzemolo, l' uovo, sale e pepe.
Scalda l' olio in un tegame profondo.
Forma con le mani tante piccole palline con l' impasto e poi rotolale nel pangrattato.
Friggi poche polpettine alla volta e lasciale scolare dall' olio in eccesso su carta assorbente prima di servirle.
Anche quest’ anno l’ influenza, il monte di impegni, la fretta, i lavori, i pensieri non proprio piacevoli non mi hanno fermata.
Avanti tutta, mi sono chiusa in cucina in uno dei pomeriggi “tipo” che preferisco.. quelli con l’ aria fredda fuori che appanna i vetri, il cd di natale che riempie l’ aria e l’ albero addobbato con qualche giorno di anticipo!
I tozzetti sono dei biscotti con cui le mie zie di Civitavecchia ci hanno tirato su ad ogni Natale, e che negli anni hanno subito qualche modifica, si sono arricchiti di cioccolata fondente o bianca, hanno perso le mandorle ma hanno guadagnato le nocciole, insomma si son sempre adattati ai palati più raffinati pur di essere presenti!
Immancabili sulla nostra tavola delle feste, di quelle tavole imbandite di torroni, panettoni e frutta secca, ma anche durante le tombolate..chè io non vinco mai e in qualche modo il tempo devo pur passarlo…
La versione che ho scelto per il Great Food Blogger Cookie Swap di quest’ anno è con nocciole, mandorle e cioccolato, ma volendo si possono sostituire le mandorle con le nocciole ed il cioccolato fondente con quello bianco.. e voi come li preferite?
Naturalmente come da “regolamento” ho inviato i miei tozzetti a Giulia, Claudia e Monica.. mentre ne ho ricevuti di buonissimi e gluten free da Mauro, Monica ed Helena credo.. nel tuo pacchetto non c’ era nessun bigliettino da visita ed il tuo nome in calce agli ingredienti non sono riuscita a leggerlo bene!
Grazie grazie a tutti, i vostri biscotti erano mondiali! : )))
Trita parte delle mandorle finemente, circa la metà.
Impasta la farina setacciata con lievito, insieme al burro morbido, allo strutto, le uova, il marsala e le spezie.
Unisci la cioccolata tagliata a pezzetti non troppo piccoli e la frutta secca intera.
Tritare parte delle mandorle serve a dare un po' più di consistenza ad un impasto che altrimenti potrebbe risultare troppo appiccicoso.
Qualora fosse necessario aggiungi qualche cucchiaio di farina per poter lavorare l' impasto.
Forma tanti filoncini e disponili ben distanziati sulle teglie da forno.
Cuoci i forno già caldo per 20 minuti.
Estrai la teglia dal forno e quando i filoncini saranno ormai abbastanza intiepiditi da poterli toccare con le mani senza scottarsi, affettali con un coltello ben affilato.
Rimetti i biscotti nella teglia da forno e falli tostare per circa 10 minuti ancora.
Mi piace il Natale fatto di tradizioni, di riti, di mani sporche di farina, di così tante lucine che fanno andare in corto circuito il palazzo, di decorazioni nuove e di vecchi ricordi che si appendono ai rami di un albero che ogni anno si fa più pesante..
Le vecchie tradizioni sono la certezza, hanno sempre quel buon odore di scatole di cartone con scritto “Natale” che aspettano per 11 mesi pazientemente in soffitta, profumano di carne arrosto e tortelli freschi, di tozzetti, cantucci, ricciarelli e cavallucci, hanno una melodia un po’ vintage che accompagna Ella Fitzgerald e Bing Crosby.. le nuove invece hanno le luci solo bianche, la voce soave di Daniela Andrade (scaricate le sue canzoni di Natale perchè sono pura poesia!!) ed il profumo dei biscotti di Santa Lucia.
Dalla tradizione scandinava questi biscotti morbidi e lievitati con l’ uvetta ed una forma ad S che mi paice moltissimo!
La ricetta è di Trine Hahnemann – Scandinavian Christmas.
Mia mamma non ha mai avuto paura di farci pasticciare in cucina, che fosse il pranzo della domenica di gnocchi e tortelli o dolci a prova di bimbo come tartufi di cioccolato, salame di Nonna Papera e biscottini al cocco come quelli di oggi che son parte dei ricordi della mia infanzia.
Sarà proprio perchè associo certe ricette a momenti di armonia e calore che ne sono particolarmente affezionata.
In fondo non ci vuole poi molto, qualche albume, un po’ di zucchero e della farina di cocco, un pomeriggio da passare insieme in cucina e del buon tè per assaggiare come sono venuti! : )
Questi biscotti sono un ottimo modo per riciclare gli albumi che vi avanzeranno dalle preparazioni natalizie!
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Il risotto alla zucca non è certo una novità, ma le domeniche d’ autunno mi piace preparare i piatti che nel tempo sono diventati un classico, il nostro comfort food.
La verità è che per stare bene basta poco.. e questa è la scoperta dell’ acqua calda! La stessa acqua calda che ho utilizzato per cuocere il risotto : )
Ebbene sì, questo l’ ho ereditato da mia mamma, che se non ha del buon brodo a portata di mano davanti ai fornelli non si formalizza: scalda un tegamino d’ acqua e non ci pensa più!
Il risotto alla fine avrà quel lieve profumino di birra e pancetta affumicata, avvolto in una cremina di zucca e funghi freschi, con le nocciole tostate e croccanti che sono un po’ come la ciliegina sulla torta!
Il profumo dell’ arancia mi fa pensare alle mani di Suor Rosa, un donnone alto e dal viso rubicondo che mi accoglieva tutte le mattine sulla porta dell’ asilo.
Doveva esserne ghiotta, per forza, perchè il suo era un profumo di scorza d’ arancia sempre fresco e persistente, i fazzoletti che teneva nella tasca profumavano d’ arancia, le chiavi della classe profumavano d’ arancia, i suoi abiti lo stesso.
La spremuta d’ arance di mia nonna mi ha accolta ad ogni ritorno da scuola, senza zucchero o con un bel cucchiaio di miele, mi aspettava lì sul tavolo in un bicchiere più alto di me.
Insomma, le arance nella mia vita sono state una certezza.
Durante l’ inverno ne grattugio la scorza e poi la conservo in freezer per quando ne ho bisogno perchè non si può mai sapere quando ti viene voglia!
Il profumo di una torta all’ arancia, di una glassa all’ arancia, di un cioccolatino all’ arancia e cointreau..su di me ha un effetto balsamico. Sui miei nervi in particolar modo…
Queste tortine sono soffici e profumatissime, si mantengono per parecchi giorni se ben conservate in una scatola a chiusura ermetica.
Sono sempre nel mio periodo “biscotti”, e deve essersi notato.
Avevo delle arachidi non salate che mi erano avanzate da un aperitivo e per non ripetermi con qualcosa di salato ho pensato di preparare dei biscotti : )
Dei biscottoni a dire la verità, generosi e con quel profumo di burro e zucchero integrale che insieme ricordano il caramello..
Ok, dei biscotti da svenirci sopra!
L’ impasto è abbastanza morbido e per farlo ben freddare in firìgo ci son volute un paio d’ ore abbondanti, ma per le cose buone si sa, ci vuole tempo..
Qualche settimana fa è iniziata la mia avventura per Vetrina Toscana, un progetto della Regione Toscana a cui sono stata invitata a partecipare e che mi ha fatto riscoprire ancora una volta il mio territorio.
Sarà un post lungo questo, ma anche ricco di foto e di storia, attraverso cui cercherò di raccontarvi il legame tra il prodotto assegnatomi (L’ Agnello del Centro Italia) e la mia terra.
Per prima cosa, l’ agnello, ovviamente!
“E’ l’agnello nato e allevato nel territorio dell’Italia centrale (in Abruzzo, sulle colline e montagne dell’Emilia Romagna, nel Lazio, Marche, Toscana e Umbria), ottenuto da una popolazione di ovini storicamente presente in questo areale, ad attitudine indifferenziata, detta genericamente “appenninica” e dalla quale si sono ottenute le attuali razze locali che danno origine ad un agnello da carne di ottima qualità. L’Agnello del Centro Italia si nutre esclusivamente di latte materno e di foraggi (freschi e/o essiccati), con piccole integrazioni di granaglie, quando necessario. Esso è molto apprezzato dal commercio e dagli allevatori in quando caratterizzato da: – elevata resa in carcassa; – rapido incremento ponderale. In commercio sono reperibili due tipologie di carcassa: “agnello leggero” (peso compreso tra gli 8 e i 13 kg) e “agnello pesante” (peso superiore ai 13 kg) – al netto di testa e corata. Generalmente il colore della carne è rosa chiaro o rosa e presenta una equilibrata copertura di grasso e la tipologia pesante di una conformazione compresa tra l’ottimo e abbasatanza buona. Il colore è molto importante per il fatto che il consumatore tiene conto di questo parametro per valutare “ad occhio” la tenerezza e la freschezza del prodotto. Il colore dipende dal tipo di muscolo, dall’età, dall’alimentazione assunta dall’animale. “
Qui e qui potete vedere qualche video interessante che riguarda il prodotto impiegato nella realizzazione della ricetta.
Quiinvece potete leggere qualche informazione in più sull’ agnello del centro Italia.
Non c’ è modo migliore di fare la conoscenza di un luogo e di un popolo se non attraverso la sua tradizione culinaria, così vi riporto qui una piccola citazione :
“Semplicità e genuinità: questi gli elementi che contraddistinguono la cucina maremmana, ma non per questo priva di profumi e sapori, anzi l’ uso delle erbe profumate è uno dei principali segreti della cucina originaria: basilico, salvia, timo e pepolino, nepitella o erba da funghi..
E’ una cucina dai molteplici aspetti che non finiamo ma di scoprire, un po’ come il suo paesaggio così vario. Infatti la maremma è stata luogo di confluenza di genti e culture diverse che hanno influenzato la cucina rimasta dunque autoctona fino alla dominazione romana, manetendo la sua specificità.
E’ una cucina “ad occhio” perché il ricettario è la natura: 50 anni fa si seguivano le stagioni, si raccoglieva quello che cresceva nell’ orto e si cucinava per la gioia di cucinare, con amore e senza fretta.
Si basa su cibi semplici e frugalifatti con legumi, erbe, cipolle,m qualche fetta di pane, olio, ma anche di pesce e di carne, prime fra tutte, quella di cinghiale.
E poiché i piatti erano già saporiti, si usava pane non salato per non esagerare e rovinarne iul gusto.
E’ il ricordo di una vita strappata all’ incolto, la “Maremma amara” dei canti popolari, testimonianza della vita di pastori, carbonai, pescatori, contadini, cacciatori, mandriani e briganti.
Fu proprio così: dopo lo splendore della dominazione etrusca, fino al 1700 la Maremma grossetana fu flagellata dalla malaria, dalle ripetute alluvioni provocate dall’ Ombrone e dalla peste.
Era terra per gente mobile: gli Aldobrandeschi, suoi signori dal 973 si muovevano secondo le stagioni; tra il 1243 e il 1246, l’ Imperatore Federico II di Svevia soggiornò a Grosseto per il suo clima e per praticare la caccia; dal 1335 ebbe inizio, sotto la dominazione di Siena, l’ esodostagionale della popolazione verso le zone collinari e montuose per sfuggire alla malaria, l’ estatatura.
Per non parlare poi delle invasioni, assalti e saccheggi ad opera dei barbari (V sec.), pirati, imperatori e capitani di ventura che la devastarono fra il XIV e XV secolo.
Fu ritenuta dai Medici un possedimento da sfruttare e in cui “ospitare” delinquenti e ribelli (1593) e solo con la Reggenza Lorenese (1735) venne adottato un piano sistematico per risollevare l’ economia locale come nel 1738 con la concessione della libertà di esportazione del grano; nel 1758 con la costruzione delle saline delle Marze; e nel 1765 con l’ erogazione dei prestiti a tasso agevolato ai faccendieri.
L’ intervento più importante fu la bonifica idraulica eseguita fra il 1765 e il 1780, ripresa poi dal 1814 al 1824.
Ma fu il granduca Leopoldo II (1824-1859) di Lorena sostenuto dal ministro Vittorio Fossombroni e dall’ ingegnere Alessandro manetti, con l’ impiego di migliaia di lavoratori, a realizare la più grande bonifica con il recupero di 10.000 ettari di terreno paludoso, nel solo comprensorio castiglionese; fece costruire innumerevoli strade, acquedotti e fece impiantare pinete lungo i tomboli costieri e filari di pioppi ed eucalipti lungo i canali e gli stradoni di bonifica.
Nelle sue tenute della Badiola e d’ Alberese, cercherà di svecchiare l’ agricoltura con l’ installazione di olivi, viti, e gelsi, l’ allevamento di razze selezionate del bestiame e la meccanizzazione delle operazioni agricole.
Da allora il termine Maremma, dal latino Maritima, associano la pianura cosstiera adatta alle colture cerealicole; la fascia collinare del bosco mediterraneo, con olivi e viti; ed infine la montagna dai legni pregiati: ciliegi, noci, castagni, abeti, faggi.
Da questa terra si ricavano ingredienti semplici e prodotti locali alla base di piatti tipici di una cucina dalle origini povere e contadine.
Abbiamo così la zuppa di pane, il cipollato, la pasta e fagioli, la pasta e ceci, i crostini di cavolo, la zuppa di funghi, la scottiglia e il buglione.
Sono prodotti “tipici” e “tradizionali” perché collegati al tessuto economico-produttivo ed al contesto socio-culturale locale e che quindi contribuiscono all’ immagine del territorio in quanto espressione della storia, cultura e delle tradizioni dello stesso.”
La cucina tosacana è legata a tradizioni che si perdono nel passato remoto, il buglione è un piatto povero che affonda le proprie radici nell’ epoca medievale quando i padroni di tanto in tanto elargivano con generosità pezzi di carne che venivano messi a cuocere tutti insieme in un gran pentolone assieme a qualche erba aromatica ed un pizzico di sale.
Il termine “buglione” infatti, sta ad indicare questa grande e poco determinata varietà di pezzi di carne, per questo preparare il buglione con un solo tipo di carne può essere considerata una variazione dei giorni nostri sul tema originale.
Seppur di origini antiche la cucina toscana risulta essere estremamente versatile ed adattabile ai “gusti moderni”, ai palati che si son fatti più raffinati col passare del tempo.
La cucina toscana è una cucina semplice e varia, fatta di ricette che raccontano le diverse caratteristiche geografiche, sociale ed economiche del paese, così diverse tra loro che basta attraversare un fiume, un bosco, semplicemente affacciarsi al paese vicino per scoprire tradizioni e ricchezze culturali e gastronomiche nuove.
In una regione tanto varia e mutevole (anche nel paesaggio, ed è anche per questo che io adoro attraversare la Toscana in macchina), che siano ricette ricche o ricette povere, la cucina toscana è una cucina saporita, schietta, sincera, una di quelle cucine che danno conforto e certezze, sostanziosa e priva di vezzi seppur gentile e al contempo robusta.
Il segreto di una cucina dove la fanno da padrona le cotture semplici, i gusti decisi ed appetitosi, sta nella bontà della materia prima, nell’ eccellenza dei prodotti utilizzati, di prima qualità, ed è così che ogni piatto sancisce il legame stretto ed indissolubile tra natura e cibo.
La mia scelta non poteva dunque che ricadere su un piatto tradizionale della maremma come il buglione di agnello.
Ho utilizzato la spalla tagliata in piccoli pezzi a mo’ di spezzatino, la carne nel piatto finito era morbida, delicata e saporita!
Il sugo non deve rapprendersi poichè a cottura ultimata si usa mettere delle fette di pane tostato sul fondo del piatto e poi il buglione versato sopra.
La bontà di quel sugo saporito raccolto dal pane e la carne d’ agnello è qualcosa di incommensurabile.
Prodotto fornito da Vetrina Toscana: ristoranti, botteghe ed eventi enogastronomici in Toscana – e nello specifico dal Presidente del Consorzio IGP Agnello del Centro Italia, Virgilio Manini.
Trita finemente la cipolla, il sedano e la carota.
Sbuccia gli spicchi d' aglio e schiacciali con il palmo della mano.
Riunisci la carne a pezzi in un contenitore e condiscila con il trito di cipolla, sedano e carota, gli spicchi d' aglio, il rosmarino, la salvia, l' aceto ed un paio di bicchieri di vino rosso.
fai riposare la carne in frigo per tutta la notte oppure per qualche ora se non hai a disposizione tutto il tempo necessario.
Al mattino, scola la carne dal resto degli ingredienti.
A questo punto si può operare come per la carne di cinghiale, ovvero facendo asciugare la carne in un tegame senza consimento, gettando via l' acqua ogni volta che ne tira fuori fino a quando la carne avrà perso tutti i liquidi; oppure si può passare direttamente al momento successivo, ovvero alla cottura dello spezzatino.
In un tegame con un poco d' olio fai rosolare il rigatino tagliato a pezzetti piccini, il peperoncino ed il battuto di cipolla, sedano e carota.
Unisci la carne d' agnello e falla rosolare bene da ogni lato.
Irrora la carne con un bicchiere di vino rosso e quando è sfumato unisci il pomodoro passato ed il concentrato.
Aggiusta di sale.
Lascia cuocere il buglione a fuoco lento e fai in modo che il sugo non si ritiri troppo altrimenti non avrai di che bagnare le fette di pane.
Taglia a fette il pane e fallo abbrustolire su una piastra.
Strofina un lato della fetta di pane con un poco d' aglio e disponi un paio di mezze fette sul fondo di ogni piatto.
Versa il buglione con il suo sugo nei piatti e servi.
Il profumo di questi biscotti è forse la prima cosa che varrebbe la pena vi arrivasse attraverso queste pagine.
Il dolce peccaminoso del caramello, le mele fresche e croccanti che si fanno morbide e dolci, la cannella che avvolge tutto come una coperta calda e confortevole.
Ci sono poche cose in grado di cambiare un pomeriggio grigio e con la luce che va via presto lasciando spazio al buio e al freddo, e preparare una teglia di biscotti funziona sempre.
Questi biscotti qui in particolare sono biscotti giganti, grandi quanto il palmo di una mano e che ben si accompagnano ad una tisana alla frutta o ad un tè aromatizzato.
La loro consistenza è morbida, non tenderanno a seccarsi neanche nei giorni successivi così come non perderanno il loro profumo.
L’ unico consiglio che posso darvi è questo: considerato che la grandezza delle mele può variare (ed io in genere utilizzo mele piccine) fate prima un’ infornata con un biscotto di prova per testare la consistenza.
Quanto alla ricetta del caramello: in un pentolino versa 150 g di zucchero muscovado (o di canna integrale) con 30 ml d’ acqua. A parte scalda 130 ml di panna fresca.
Appena lo zucchero inizierà ad assumere la consistenza di uno sciroppo di colore leggermente ambrato, versa la panna nel caramello delicatamente per evitare schizzi.
Unisci al composto una noce di burro e versa il caramello in una teglia unta con un poco d’ olio.
Lascia raffreddare il caramello e poi taglialo a cubetti prima di inserirlo nella ricetta.
C’ era già stata qualche tempo fa una ricetta di cinnamon rolls da queste parti, una versione monodose nei pirottini da muffin.
Del resto di dichiarazioni d’ amore folle alla cannella ce ne son state parecchie in questi anni, ed un’ altra versione di cinnamon rolls era di certo cosa scontata che prima o poi arrivasse!
Fatti lievitare e cotti nella padella di ghisa stavolta, ubriachi di cannella come sempre, sia all’ interno che all’ esterno dal momento che anche la padella / stampo è stata imburrata e poi spolverizzata di cannella e zucchero.
Io li preferisco appena fatti, morbidi , con quel profumo caldo di cannella.. che ti resta attaccata insieme allo zucchero sulle dita quando ne stacchi uno..
Dlìn Dlòn! Comunicazione di servizio!
Da oggi in edicola trovate Tu Crea, una rivista meravigliosissima alla quale ho avuto il piacere di prender parte!
Nei prossimi giorni gli dedicherò un post speciale : ))
Ricordo che quando ero piccina e mi mandavano al forno a comprare il pane, tornando a casa non facevo che abbracciarlo e “strizzarlo” : )
Perchè quello che mi è sempre piaciuto molto del pane è sì il profumo, il sapore, l’ atto in sè per sè considerato di prepararlo con amore e pazienza, ma sopra ogni cosa il rumore.
La crosta fragrante che fa “crack” con un colpo secco, quel rumore sordo da cui si capisce che il pane è ben cotto..
Poi va da se che di tutte le briciole che si creavano ad ogni mia strizzatina e che finivano sul fondo della busta di carta, finivano per essere sbocconcellate durante il tragitto.. la capacità di beccare briciole che neanche un pulcino esperto..
Questo pane fa “crack” e ve lo posso garantire, profuma di lievito e di pazienza, si potrebbe mangiare così senza nulla oppure con una noce di burro per merenda : )
A tal proposito tutta la bellam mollica alveolata è andata a farsi friggere nella foto perchè io ho tagliato il pane ancora caldo appena uscito dal forno per poterlo spalmare di burro e mangiarlo ancora caldo caldo : )))))
Di parole sulla farina di castagne ne son state spese a milioni in questo blog dal nome palesemente evocativo.
Eppure ci sono ancora moltissime ricette che preparo con la farina di castagne e delle quali non vi ho parlato.
Mia mamma prepara una buonissima torta con farina di castagne, pinoli ed uvetta, io spesso preparo questi biscotti qui.
Mi piacciono moltissimo mangiati al naturale ma sono buonissimi se spalmati con un velo di marmellata di albicocche per esempio oppure di salsa al caramello, o ancora semplicemente passati per metà nel cioccolato fuso.
Il sapore del caffè mi piace molto abbinato a quello delle castagne in generale e a quello della farina di castagne in questo caso.
I puntini più scuri che vedete nelle foto sono l’ effetto dello zucchero muscovado, che con il suo profumo speziato e dolce arricchisce di molto questi semplici biscotti.
O meglio, un po’ come in Colazione da Tiffany così come Holly Golightly aveva chiamato il suo gatto “Gatto”, così io chiamo la mia treccia “Treccia”.
Una ricetta che ho scoperto durante un viaggio in Trentino qualche tempo fa, a Valles per la precisione (dunque se qualcuno è di quelle parti e vuole delucidarmi io son ben contenta!!).
Avevamo assaggiato questo dolce durante una merenda pomeridiana ed io che son molesta di natura ho voluto a tutti i costi la ricetta.
E l’ ho ottenuta : )
Una ricetta senza titolo però, se non una spiegazione veloce che è un dolce di origini austriache.
Così l’ ho ribattezzato “Treccia”.
Non c’ è burro in questo dolce nè olio e tende a seccarsi velocemente già dal giorno dopo pur restando buonissimo ugualmente.
Già che io sono una furba ho impiegato tutto l’ impasto per fare una unica treccia, gigante, ma se volete potete dividere l’ impasto e preparare due trecce oppure dimezzare le dosi e prepararne una solamente.
Per il ripieno ho optato per una crema di nocciole e cioccolato ma anche la classica non-nutella fatta in casa andrà benissimo. Anzi…
Periodo autunnale in cui in casa sembriamo aver riscoperto il piacere di fare gli gnocchi, dopo quelli di zucca adesso è la volta di quelli con la farina di castagne, ingrediente immancabile nella mia dispensa!
Piccoli, morbidi e tondi gnocchi che si lasciano mangiare con facilità, quasi fossero ciliegie ed uno tira l’ altro.
Del resto c’ è da dire che le castagne per me sono il simbolo di questa stagione che cambia e che apre le porte ad un lungo inverno.
Di ritorno dal Crastatone che si è svolto a Piancastagnaio proprio lo scorso week end non potevo che riaffacciarmi sul blog con rinnovato vigore : )
Ho scelto radicchio e gorgonzola per il condimento, il sapore amarognolo della verdura abbinato alla dolcezza della farina di castagne e alla sapidità del gorgonzola.
Uno dei miei abbinamenti preferiti durante l’ autunno ma anche durante l’ inverno, sebbene questi gnocchi siano figli del caso, di un pranzo in cui il gorgonzola ed il radicchio son stati impiegati altrove.
Ma si sa che le cose belle (e buone) accadono anche per caso, così nel mentre che aspettavo di poter proseguire coi preparativi delle altre ricette mi son messa ad impastare due gnocchi così, su due piedi, per semplice istinto (e gola..), con la scusa di far fuori la farina vecchia che la nuova sta per arrivare!
Sono un dolce tipico abruzzese, e sebbene noi non si abbia origini abruzzesi (se non acquisite : )))) ) le ferratelle sono state spesso la nostra merenda da bambini.
Mia mamma aveva un vecchio ferro rettangolare e scuro, una di quelle cose “vintage” che mi riprometto sempre di portarmi a casa. eheh….
Io ho un ferro “dell’ epoca moderna”, comprato in una bottega in Abruzzo, che incide le ferratelle con questo bel disegno che adoro e che come ha detto qualcuno su Instagram commentando la foto “sembra pizzo”.
Le ferratelle si chiamano ferratelle nel Teramano e sono così sottili come quelle che ho fatto io.
Nel chietino si chiamano “pizzelle” e sono leggermente più alte, non come dei waffles ma una via di mezzo, e si preparano con un ferro diverso naturalmente, con le scanalature più profonde.
La mia amica L. mi ha detto che da lei a Scanno sono più alte rispetto a queste che ho fatto io ma si chiamano ugualmente ferratelle.
Quindi…. fate un po’ come preferite! : )
Io le divoro così semplici semplici appena fatte, ma mi piacciono molto farcite di marmellata o crema al cioccolato.
A volte poi le intingo nel cioccolato fuso e via.
Dipende da quanto bisogno ho di dolce : )
Per colazione lo scorso week end le abbiamo mangiate spalmate di marmellata di rabarbaro ed accoppiate a due a due.
Incorpora l' olio, la vaniglia e la scorza grattugiata del limone.
Unisci la farina poco alla volta, potrebbero non servirti tutti i 13-15 cucchiai come invece potrebbe servirtene qualcuno di più.
La pastella dovrà "scrivere", ovvero tirandone su un cucchiaio e poi lasciandola ricadere nell' impasto non dovrà essere liquida da perdercisi dentro ma neanche troppo solida. Il ghirigoro che farà cadendo dal cucchiaio dovrà restare per un poco impresso sul resto della pastella.
Ungere con dell' olio lo stampo per ferratelle.
Porre lo stampo sul fuoco e lasciarlo scaldare per bene.
Versare un cucchiaio di impasto al centro del ferro e chiuderlo esercitando un po' di pressione.
Dopo circa 30 secondi girare il ferro dall' altro lato e far cuocere anche qui per 30 secondi circa.
Aprire il ferro ed estrarre la ferratella.
Continuare così fino ad esaurimento di tutta la pastella.
La non ricetta di oggi è una delle cose più buone mai mangiate in questo periodo e dato che noi più che da feste Halloweeniane siamo tipi da Crastatone, questo week end ci concediamo una ricetta che è a metà tra una festa di Halloween ed una celebrazione della stagione autunnale con tutti i suoi frutti.
Una ricetta di una semplicità disarmante, tra le altre cose, che potete improvvisare anche all’ ultimo minuto!
Qualche fetta di pane di segale, un bel pezzo di fontina e del brodo appena fatto. Ah, e la zucca, ça va sans dire…
Al posto della fontina spesso utilizzo il taleggio o qualche altra toma dalla consistenza morbida e filante, al posto del panedi segale un pane integrale (ma anche il comune pane bianco va bene eh..) di quelli con la mollica ben compatta, non un pane in cassetta per intenderci.
La zucca dev’ essere piccola per poter essere servita individualmente ma sopratutto per poter cuocere in tempi onesti in forno: per una zucca piccina come questa ho impiegato più di un’ ora…
Una volta che la zucca si sarà cotta, la polpa morbida ed il formaggio filante non resterà che affondare il cucchiaio dentro e raccogliere in un solo colpo parte della zucca e della zuppa di pane e formaggio!
Con un cucchiaio scava l' interno della zucca privandola di semi e filamenti.
Condisci l' interno della zucca con sale e pepe.
Affetta il pane e taglia la fontina a pezzetti.
All' interno della zucca costruisci degli strati alternando pane e formaggio.
Termina tutto con un ultimo strato di formaggio e poi versa delicatamente del brodo all' interno così da ammorbidire la zuppa.
Rimetti la calotta alla zucca e cuocila in forno già caldo a 200° per almeno un' ora\un' ora e mezza.
Per sapere se la zucca è pronta solleva la calotta e prova ad infilzare la polpa della zucca con uno spiedino. Se la polpa è morbida puoi sfornare la zucca.
Qualche tempo fa avevo pubblicato qui nei paraggi una vellutata di cavolfiore con crostini ed alici al tartufo.
Una delle mie preferite di sempre, per essere onesti!
E’ che il cavolfiore in casa non piace proprio a tutti, io personalmente lo divoro anche semplicemente cotto al vapore e condito con sale ed olio, ma per i più diffidenti ho imparato che ci vuole la vellutata di cui sopra, una fonduta per prepararlo gratinato al forno oppure una zuppa delicata e leggera come quella di oggi.
Le mandorle devono essere di quelle buone, dolci e profumate.
Questa zuppa è l’ ideale per scaldare le fresche serate autunnali che sono arrivate così all’ improvviso : )
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